Ride for Children day1: Torre del Greco – Castel di Sangro
Eccomi al primo giorno di questa immensa esperienza di viaggio.
Mesi di studio, note, appunti ed elenchi, smontaggio e rimontaggio bici e borse, precisione maniacale su ogni singola caxxata e poi…e poi niente, quando devi partire cala il sipario della disorganizzazione, del ritardo, dell’impreparazione e ovviamente del riposo zero. Un classico!
Dovendo partire il giovedì all’alba e avendo il mercoledì sera impegnato nell’evento dedicatomi dagli amici di Napoli Pedala, l’obiettivo era quello di avere mercoledì a metà giornata la bici già pronta per partire.
Ma l’obiettivo è sfumato miseramente, tra un ritorno a casa tardi in serata e una marea di oggetti da mettere ancora in borsa sperando ci entrino. Il tutto quindi si traduce in poche ore di sonno, una sveglia alle 5 per completare il riempimento bagagli, un saluto veloce a moglie e bimbi che ancora dormono e alle 6.30 pronto per andare. La fortuna è quella di aver preparato la lista di tutto, altrimenti chissà quante cose avrei dimenticato (leggi QUI cos’è la lista)
Ma perché questa fretta?
I motivi sono tanti. Innanzitutto ho davanti 140km di cui l’ultimo tratto con una bella salita ed è meglio macinare più km la mattina che il pomeriggio, momento della giornata in cui da sempre rendo pochissimo. Poi nella prima parte c’è la provincia di Napoli, che di mattina è trafficata anche per una bici, infine è pur sempre il 23 giugno e se il sole decide di farmi compagnia, meglio non coinvolgerlo nelle sue ore più intense.
Nei giorni precedenti immaginavo una partenza calma con tanto di ripresa aerea con drone, invece è stato un momento di pura confusione mentale e l’unico ricordo materiale che mi resta, è una foto scattata da mia moglie mentre affronto la prima e più dura salita del viaggio, quella del parco in cui abito.
Uscire di casa come si fa da una vita per una pedalata nei dintorni o per recarsi al lavoro e pensare in verità che si sta partendo per una meta che è a quasi 2000km di distanza, è un pensiero che brucia anche l’ultimo neurone ancora sano e immerge in uno stato dove pazzia, adrenalina e terrore si punzecchiano a vicenda. Questo stato è il riassunto dei miei primi 300 metri di pedalata per Ride for Children.
Forse il fatto che i primi 15km siano gli stessi che faccio per andare in ufficio, è d’aiuto per entrare pian piano nella giusta dimensione. Così come anche il traffico assurdo tra Casoria e Frattamaggiore, che mi tiene impegnato a mandare il mondo a quel paese.
I primi segni di consapevolezza arrivano dopo circa 2h di viaggio, fiancheggiando i canali della campagna che dalla provincia di Napoli introduce in quella di Caserta. Sosta a Marcianise per un primo volo col drone, un boccone energetico e un pensiero a chi a casa si è svegliato, non mi ha trovato e tutto immagina tranne che stasera non ci sarò.
Infatti dopo la sosta inizia davvero il viaggio. Quello in cui iniziano quei pensieri che mi accompagneranno fino all’ultimo giorno, cioè “è la prima volta che ci passo in bici”, “stasera non dormo a casa”, “chissà cosa stanno facendo i bambini”, “adventure is out there!”. Ci sarebbe anche quello “ma chi me lo fa fare!”, ma è ancora presto per venir fuori. So bene che alla prima salita non mancherà di presentarsi.
La prima parte non è così entusiasmante, ma principalmente perché sono io a non godermela. Essendo tutti luoghi a un’ora d’auto da casa, non mi soffermo più di tanto a guardarmi intorno.
Ad un incrocio di Santa Maria Capua Vetere (antica Capua per i romani), una coppia di anziani mi chiede da dove vengo e dove sto andando. Alla mia risposta segue un “a faccia ro c…!”. Un’esclamazione che imparerò ad ascoltare in tutti i dialetti italiani delle regioni che attraverserò, ogni qualvolta che mi sarà sottoposta la stessa domanda.
Ecco poi Capua. E’ molto bella e onestamente mi vergogno di essere lì per la prima volta, ma prometto di ritornarci. Dopodiché tanta Casilina, con le auto e soprattutto camion che quasi mi sfiorano non essendoci un minimo di spazio tra limite della carreggiata e campagna laterale. Mi fermo per bere all’ingresso dell’antica Cales, capitale degli Ausoni, evitando di farlo durante la pedalata vista la strada molto pericolosa.
Dopodiché il navigatore mi fa entrare a Calvi Risorta, deviando, allungando e ritrovandomi su una stradina pietrosa che mi riporta sulla Casilina. La prima inutile deviazione di una lunga serie che piano piano mi insegnerà a non fidarmi troppo delle tracce sul navigatore.
Dopo un po’ una vasta distesa di girasoli annuncia Vairano Scalo. Città a me nota proprio perché lì inizia la strada per l’Abruzzo percorsa tante volte in auto. Ma questa volta l’auto non c’è.
Non è tardissimo, appena mezzogiorno, ma ho mangiato poco e ho tanta fame da ritrovarmi a divorare una tagliata di carne. Un errore che mi ritornerà con gli interessi sulla salita.
Intanto guardo per la prima volta il telefono che esplode di notifiche whatsapp e facebook. Qualcuno non sapeva, qualcuno non immaginava, qualcun altro forse nemmeno aveva letto, ma la foto di una persona con la bici carica che parte sotto casa, lascia poco spazio all’immaginazione.
Proseguo lungo la statale fino a voltare dopo 10km in una strada di campagna presso la centrale di Presenzano. Il cielo è nuvoloso e di tanto in tanto vien giù qualche schizzo di pioggia. Il che razionalmente è meglio così non c’è caldo, ma quel cielo grigio un po’ angoscia lungo quelle stradine assolutamente deserte nel primo pomeriggio e da la sensazione che sia già tardi.
Oltrepasso il primo confine regionale del viaggio, sostando qualche minuto nei pressi di Sesto Campano, dove approfitto di un ponte su un corso d’acqua per una ripresa aerea. Vengo anche rimproverato da una vigilessa perché mi siedo sul marciapiedi del ponte. Qual è la probabilità che passi un vigile sul ponte più deserto del Molise a quell’ora del pomeriggio?
Sono circa le 14, per niente tardi sulla tabella di marcia, quindi riprendo con calma e dopo 20km, costeggiando campagne coltivate, giungo su una strada principale, obbligandomi a mangiare un gelato. Dal pranzo al gelato ho pedalato per scarsi 30km principalmente pianeggianti e non mi sento molto in forma, spero sia solo una sensazione.
Davanti a me c’è Roccaravindola ed altri piccoli borghi. Seguendo la mappa sul garmin mi ritrovo ad attraversare stradine impervie con improvvisi strappi, leggere discese, poi nuovamente salite che mi costringono a scendere dalla bici e spingere. Inizio a capire che spingere 40 chili in salita non è così meglio che pedalarci sopra.
Dopo 10km di strazio, ritorno sulla statale poco prima di Montaquila col senso di stanchezza che diventa evidente. Decido di continuare lungo la statale fino alla fine, anche quando poco dopo avrei dovuto voltare verso Rocchetta per evitare i successivi viadotti e gallerie. Ma meglio quelli che altre salite verso borghi arroccati, oltre al fatto che la statale la conosco, so dove mi trovo ed è in ogni caso frequentata dalle auto se ne avessi bisogno.
Restano solo 11km per Rionero Sannitico dove termina la salita. La pendenza costante lungo la statale mette a dura prova. Non a caso in quel tratto si passa da 300 a 1000 metri slm. Psicologicamente tutto ciò nel primo giorno, in cui già non si è così rilassati, uccide. Sono solo all’inizio e già sono stato costretto a modificare il tracciato. Andare lungo una statale come quella con viadotti e buie gallerie su una bici quando non ci si sente al massimo, è poco confortante, per non dire assolutamente pericoloso. Avendola percorsa sempre in auto l’avevo sottovalutata, perché essendo una strada larga, con auto si ha poca percezione della reale salita.
Non so quante soste faccio fermandomi appoggiato al bordo del guardrail e sperando di trovare la forza per continuare. Nonostante manchino 5-6 km al punto più alto della salita, inizio a pensare ad eventuali autostop o di chiamare al camping di Castel di Sangro e farmi venire a prendere, perché anche lo stare fermo mi fa sentire molto stanco e la sensazione non mi piace per niente. Dopo tanti anni in bici, mai provata una sensazione simile e le novità in questi casi non fanno piacere.
Supero il viadotto più lungo e la galleria che avrei dovuto bypassare con l’altra strada. L’occhio alterna all’impazzata lo sguardo avanti e quello sullo specchietto retrovisore, sperando che un’auto o peggio ancora un camion, non mi facciano assumere le sembianze di una pizza.
Intorno un paesaggio stupendo allestito di tanto in tanto da piccoli borghi a valle o più in alto. Avrò percorso almeno una decina di volte quella strada in auto per ciascun senso, ma quello che si vede dalla bici non è comparabile nemmeno lontanamente al finestrino di un auto.
Arrivo a quella che dovrebbe essere una via di mezzo tra un bar e una tavola calda, ma è tutto chiuso. Ho barrette e frutta con me, ma lo stomaco si rifiuta totalmente. Dopo un pò invece una visione piacevole e questa volta sembra sia tutto aperto ed operativo. Sono a poco meno di 2km dallo scollinamento di Rionero Sannitico, il posto si chiama “il Poggio”. Ampio parcheggio ma poche auto, giostrine per bambini peggio di un deserto e tre uomini a ridosso dei 60 anni o poco più, seduti al tavolo esterno che sembrano essere platealmente del posto.
Inutile dire come mi guardano quando spiego da dove vengo e dove sto andando, ma ignorano in che stato mentale e fisico mi trovo, come ignorano che la sola compagnia che mi stanno regalando sia per me oro.
Vogliono offrirmi una birra e a causa del medicinale che sto prendendo per la simpatica erpes zoster che mi è uscita sulla pelle 10 giorni prima della partenza, devo a malincuore rifiutare. E’ la seconda volta che rifiuto una birra in meno di 24 ore, anche questa è una stranissima novità per me.
Mentre mangio un gelato, mi spiegano che il peggio è passato e che poco più avanti inizia la discesa verso Castel di Sangro. Mi danno anche qualche info sulle strade che dovrò percorrere all’indomani verso l’Adriatico e ne faccio tesoro.
Dopo più di mezz’ora a chiacchierare e una buona ricarica più psichica che fisica, saluto e vado via. Dimentico sul tavolo il casco che mi riportano mentre esco dal parcheggio, il che rende bene l’idea della lucidità mentale del momento. A distanza di mesi, al primo passaggio in auto per quella strada, sono entrato a salutarli nuovamente e a ringraziarli ancora una volta. Nel guardare la foto che gli ho portato, hanno ricordato quel giorno in cui quel bruciato di testa vesuviano si fermò lì con una bici.
Come mi avevano preannunciato, poco più avanti c’è la discesa. Da lì al campeggio Oasi sul Sangro, dove ho deciso di accamparmi, sono circa 11km di discesa con l’ultimo tratto pianeggiante nel comune di Castel di Sangro. Oltrepasso il secondo confine regionale del giorno, sono in Abruzzo. Mentalmente ora va molto meglio, c’è profumo di impresa e utilizzo l’ultima briciola di lucidità per non perdere attenzione in bici e arrivare sano e salvo sul posto.
Oasi sul Sangro è un bel posto tra la riva dell’omonimo fiume e la ciclabile che porta al centro città. Ci sono bungalow e spazi per camper o tende al costo di circa 20€ a notte. Una ragazza di chiare origini non italiane, mi mostra dove mettere la tenda e dove sono i bagni. Non c’è molta gente e il fatto che ci sia anche un ristorante è perfetto, visto che a stento ho la forza di montare la tenda e fare una doccia.
Dopo una cena solitaria con ravioli e arrosticini, crollo nel mio peggior montaggio tenda di tutto il viaggio, col sottofondo lo scorrere del fiume. Non so come, ma i primi 142km del viaggio sono andati. Questa esperienza non sarà una passeggiata e non ha aspettato troppo tempo a farmelo capire.
Dati tecnici di tappa
- Distanza: 142km
- Dislivello: 1472m
- Tempo di pedalata: 8h 30′
- Velocità media: 16,8 km/h