Norvegia, crociera tra i fiordi fino all’estremo nord
L’assaggio della Porta del Mondo, prima tra ritardi, hotel di periferia, metropolitane e bus fantasma e poi uscendo dal tunnel che porta nel cuore di una città di mare, senza mare. La partenza con le gru che fanno da skyline sa di un Fievel Toposkovich, che parte per un’America che da occidente si è spostata al nord.
Al buio l’Elba lascia spazio al mar del Nord e la terra scompare alle spalle della nave, fino a ritrovarsela a prua dopo oltre 24 ore in una veste diversa, quella del primo fiordo.
Al di sotto di una bassa e lineare coltre di nebbia, l’acqua cambia e la cresta dell’onda diventa all’occhio più densa, come se fosse olio. Intorno montagne, rocce e vasti prati verdi dove casette colorate spuntano isolate da tutto e da tutti. E’ solo la prima volta di qualcosa che diventerà una costante della quale bellezza non ci si abituerà mai.
Un forte suono annuncia Molde, la città delle rose lungo il Romsdalsfjord. Si racconta che dal panorama di Varden, zona alta della città, si possano contare sull’orizzonte 222 cime di monti. I colori degli edifici regalano subito uno stupendo colpo d’occhio, il tutto riscaldato da un sole caldo impensabile a quella latitudine.
La visita alla città è posticipata al pomeriggio e la direzione con l’auto presa a noleggio è verso Bud, un borgo di pescatori vista oceano, lungo la strada che collega Molde a Kristiansund. Sulla collina del paese ci sono ancora i resti dell’Atlantic Wall, una delle tante difese tedesche che guardano a nord.
Il centro informativo che fa anche da piccolo museo è chiuso, ma si può liberamente passeggiare tra le rovine dei bunker e le grosse armi belliche, in quel silenzio che rende tutto più autentico. Da lì la vista sul piccolo borgo, l’oceano e il rumoroso silenzio della storia.
Da Bud si prosegue verso nord-est, tra strade sterrate e poco frequentate della campagna norvegese, per ritrovarsi d’un tratto lungo ponti che, giocando con la geometria, saltano da un isolotto all’altro tra le acque dell’oceano. E’ la Atlantic Ocean Road o Atlanterhavsveien in Norvegese, 8km di strada che dal 1989 risulta essere una delle più belle al mondo e la più pericolosa nel caso di condizioni meteo avverse. Ma il problema non sussiste, c’è un bel sole che si specchia nell’acqua del mare e mette in risalto l’intero panorama di isolotti verdi. Protagonista dell’insieme dei ponti è il Storseisundet bridge, la cui sommità è così stringente che nella fase di salita non si vede quella di discesa. La guida è un mix di brividi e adrenalina da ricordare per sempre. Subito dopo uno stop in un’area parcheggio per il percorso a piedi circolare che permette di godere di una delle più belle viste possibili della zona.
Si torna in auto e quindi a Molde. La città è un proliferare di fiori ed in particolare di rose, simbolo della città. Di fianco alla cattedrale, sull’edificio del municipio, si estende un grazioso giardino di rose di ogni tipo e nella piazza in basso troneggia in un angolo una fontana con la “Rose Maiden”, una donna che mostra delle rose.
Non troppo lontano dal centro, districandosi tra le viuzze abbellite di casette bianche e gli immancabili fiori, c’è uno spazio che riproduce un antico villaggio locale, con tanto di museo e prodotti tipici della città. Ancora una volta il museo è chiuso e lo spazio all’aperto assume quel sapore autentico e poco turistico che tanto affascina. Un tempo capitava, ora quasi lo cerco.
La nave riparte, lasciando il fiordo e puntando verso nord. Una giornata di navigazione che sa di grandi obiettivi, quelli che raccontano di confini convenzionali, che in geografia chiamano circoli polari e che sull’orizzonte mostrano le isole Lofoten. La loro punta a sud è contraddistinta da una delle città col nome più piccolo al mondo, una sola lettera: Å.
Il sole tramonta ma non scompare sull’orizzonte e non scomparirà più per i prossimi 5 giorni. E’ l’estate artica, quella del sole di mezzanotte. Un conto è raccontarlo, altro è vederlo.
La notte illuminata dal sole va via e in un giorno che non sa di nuovo giorno, la nave si fa spazio in un altro fiordo. Sull’orizzonte si intravede un abitato e un ponte che non lascia spazio all’immaginazione. E’ Tromso, la capitale dell’artico.
Con un bus dei mezzi pubblici, dalla fermata fuori al terminal crociere si ragigunge l’altra sponda, lungo il tunnel che passa sotto l’acqua del mare. Fuori dal bus si è circondati da tanto verde e case caratteristiche, una pace sublime sulla quale vi è una costruzione triangolare nota come la cattedrale dell’artico, ma che in verità cattedrale non è. L’ingresso a pagamento non ripaga la spesa. E’ molto più bella all’esterno, immersa nel verde e su di un luogo collinare dal quale si può ammirare l’intera città. E se il tutto non basta, c’è la funivia alle spalle che porta ancora più su.
L’attraversamento del ponte fa parte del gioco, non si potrebbe andar via senza e nonostante sia lungo un km, in quel guardarsi attorno ci si ritrova in un attimo nel centro della città che stenta a svegliarsi a quell’ora. Del resto il sole non tramonterà mai, che fretta c’è di alzarsi?
Una cinta di roccia bassa racconta l’antica fortezza della città, ma bisogna saperlo o fare occhio ai cartelli esplicativi, altrimenti nemmeno ci si accorge del tutto. Non passano inosservati invece gli alti muri colorati da murales che raccontano di spedizioni, balene e mare. Una simbiosi, quella dei norvegesi col mare, che metterebbe a disagio un uomo di mare di qualsiasi altra parte del mondo.
Lungo il molo un po’ ci si guarda intorno, un po’ si sta attenti ai gabbiani, che sembrano più abbondanti degli abitanti. Tra barche, gommoni e velieri si raggiunge un’imbarcazione particolare, a due passi dall’acquario Polaria, imprigionata in una struttura di vetro e nella sua stessa storia. E’ la MS Polstjerna, storica nave per la caccia alle foche nei mari dell’artico. Si può visitare in ogni suo angolo, cogliendone le vicende e le giornate di chi vi si imbarcava, che sembrano trapelare da ogni singolo pezzo di legno che la compone.
La sua estensione naturale è il museo Polaris, ricco di materiale interessante, così come la sua rossa struttura immersa così bene nel contesto del molo della città.
La cattedrale, quella vera, nella piazza principale, è completamente in legno e qui entrarci è un obbligo. Per il resto si passeggia su Storgata, cioè il corso principale, che è un susseguirsi di negozi di indumenti per il freddo, qualche souvenir, diversi bar più o meno tipici e qualche grande catena del food. La statua di un cane su un tetto richiama lo sguardo a quello che è l’antico teatro, oggi un vero e proprio luogo di aggregazione sociale. All’esterno un piccolo padiglione e la statua del re Haakon VII.
Prima di tornare a bordo, un piccolo gioiello è proprio di fronte al terminal, il giardino botanico artico, con piante di ogni genere in uno dei tanti polmoni verdi della città.
Una volta a bordo, l’orologio scorre ma il tempo sembra fermarsi. La cena sembra un pranzo e alle ore 11 i ponti esterni sono affollati nonostante la fredda brezza. la luce del sole di mezzanotte e le ombre sul fiordo diventano protagonisti assoluto del tutto, mostrando qualcosa di impensabile anche al più grande paesaggista di sempre.
Il giorno seguente solo ed unicamente mare, in una traversata che a guardare la propria posizione sul globo, mette insieme brividi ed emozioni.
La temperatura si è vistosamente abbassata. All’esterno poche persone e ben coperte. La Norvegia, quella sul continente, il nord per eccellenza, è in quel momento un qualcosa di meridionale, così come il resto del pianeta, tranne quelle isole verso le quali punta la prua, navigando lungo la striscia immaginaria di mare che rappresenta il confine tra mar di Norvegia, mar di Groenlandia e mare di Barents, incrociando il cosiddetto “passaggio a nord est”.
Svalbard, in italiano “coste fredde”, questo è il nome dell’arcipelago più a nord del mondo abitato dall’essere umano, ma la prima presentazione di umano ha ben poco. Una montagna brulla, di sola roccia livellata dal vento, si fa spazio nella coltre di nubi e quando queste ultime aprono al paesaggio, quell’aspetto quasi lunare diventa ancora più forte. Sono montagne di un marrone pastello e dai profili morbidi, come quelle nei disegni dei bambini. Alberi e arbusti nemmeno a pensarci, così come la neve, che ci si poteva aspettare a queste latitudini.
Molo in fermento. Compagnie di escursioni polari che si preparano ad accogliere una quantità di turisti che è maggiore della popolazione di tutto l’arcipelago. Allo sbarco una processione di persone si dirige verso il centro, poi le strade si dividono. La prima, in salita, porta alla chiesa più nordica del mondo. Un luogo di accoglienza, sempre aperto, per chiunque ne avesse necessità. Da lì il panorama sull’intera città di Longyearbyen. Qualcosa dalla sensazione indefinibile, ma sicuramente singolare.
Un fiume grigiastro ricco di detriti, scorre vorticosamente da un probabile ghiacciaio alle spalle della città fino al mare. A pochi passi un centro per studenti e dall’altra parte un centro commerciale, un pub e altri piccoli e sporadici locali che gravitano intorno alla statua di un minatore
Ritornando verso il mare, una strana costruzione rivela il centro universitario e annesso museo delle Svalbard. Piccolo ma ben fatto e sicuramente interessante. Lo stesso vale per il museo alle sue spalle, quello delle spedizioni polari. Più piccolo ma intenso di informazioni, tra le quali non mancano immagini dell’italiano Umberto Nobile.
Un insieme di casette colorate fa da sfondo a questa zona, mostrando l’area residenziale di una città che sembra costruita tutta su palafitte, uno stratagemma architetturale per la formazione del permafrost. Fuori la porta di default si trova sempre qualche bici, gli sci e una motoslitta, che spesso compare anche sui segnali di pericolo stradale, così come quello con l’orso polare. Sì, perché l’intera città è limitata proprio da quei cartelli e non si può uscire da quel confine senza essere in compagnia di un guardiacaccia. Alle Svalbard il vero popolo è quello degli orsi polari, l’uomo è un ospite di minoranza.
La nave lascia questo luogo un pò magico, un pò assurdo. Le montagne scorrono sull’orizzonte mostrando qualche ghiacciaio che arriva sulla costa, poi scompare tutto, come al risveglio da un sogno. Luci e ombre dell’ennesimo sole di mezzanotte si specchiano lungo la scia della nave mentre si naviga verso sud…per giungere a capo nord.
Dopo un giorno di navigazione tra onda lunga e banchi di nebbia, la nuova pseudo-alba ha come sfondo Honningsvag, città colorata distesa sul mare con poco più di 2000 abitanti. E’ il centro abitato principale dell’isola di Mageroya, per il resto qualche piccolo borgo di pescatori e il centro visitatori di Nordkapp. Lasciare con l’auto la città in direzione nord, significa immergersi in un paradiso fatto di laghi, scorci naturali, fiordi, renne e tanto verde che si estende all’infinito.
La strada verso Gjesvær è il vuoto più assoluto. Il piccolo agglomerato di case sul mare sembra venuto fuori da un quadro. Le costruzioni potrebbero essere contate in poco tempo e oltre quelle c’è una chiesa, un ristorante, un centro per il bird watching e un campetto da calcio di quelli vintage. Il silenzio è infinito, in sottofondo solo il soffio del vento. Ciò che si vede è tutto frutto del dopoguerra, ma il luogo è abitato dai tempi dei vichinghi. Dopo che la memoria ha fatto suo quell’angolo di paradiso, si ritorna sulla strada principale con l’obiettivo nordkapp, dal quale solo la vista “wow” del Tufjord, riesce per un attimo a creare distrazione. Ma è tutto lì su quel promontorio che fa da sfondo, la meta di tanti, il sogno di tutti. Nessuno è così cattivo da non meritare posti così almeno una volta nella vita.
Il visitor center prova a riempire uno spazio troppo grande senza riuscirci, il globo sembra invece convogliare tutto e tutti a se. Statue, monumenti, simboli, memoriali e stone balancing si disperdono nello spazio del promontorio che si affaccia a 300 metri d’altezza sul mare artico.
Si fatica a lasciare quel luogo, combattuti dal non vedere l’ora di continuare ad esplorare quell’isola da sogno. Un villaggio di Sami concede un incontro ravvicinato con le renne e poi l’ingresso a Skarsvåg, con ancora renne a dare il benvenuto. Una sola strada, un ponte che porta all’altra parte della piccola baia, un centro di pesca del granchio reale, un negozio natalizio, che considerando la temperatura ci sta più che bene. Si va via, salutando le renne al pascolo, giusto in tempo per evitare l’orda turistica che sta arrivando in bus e spegnerà a breve tutta quella poesia.
Si termina col borgo di Kamøyvær, che compare d’incanto alle spalle di un piccolo fiordo. Un molo popolato da barche colorate e un luogo d’arte, dove un’artista tedesca produce opere utilizzando carta da materiale di riciclo.
Il giro dell’isola è così concluso, ritornando al posto di partenza, affollato di turisti che popolano il negozio di souvenir del porto. Ma la bellezza è oltre, per le strade della città che portano lungo la baia fino ad un piccolo faro, mostrando un’ulteriore baia e un’acqua gelida e cristallina sulla quale si affacciano graziose villette.
Arriva la sera e questa volte la luce va via, offuscata da una copiosa nebbia che nasconde il tutto a tutti. La partenza è solitaria nel banco di nebbia notturno, mentre l’intera nave dorme.
La navigazione all’indomani è piacevole. Un sole caldo accompagna il secondo passaggio al largo delle Lofoten, salutando questa parentesi estiva di circolo polare artico e il ritorno del buio della tarda ora.
Meno bello il tempo il giorno successivo, nuvoloso e col mare un po’ arrabbiato. Con l’arrivo della notte, arrivano i grandi fiordi e la nave lascia il largo per tuffarsi nella meraviglia della natura.
Paesaggi mozzafiato all’alba portano fino alla costa davanti alla città di Olden. I tender fanno da spola finché la nave non si è quasi svuotata. Olden è piccola, quasi minuscola, ma la natura che la circonda è meravigliosa.
Una via vai di bus in tutte le direzioni sparpagliano il popolo che viene dal mare. Nelle acque smeraldo del lago di Olden si specchiano alte montagne popolate da lunghe cascate. Ecco il piazzale, si scende tutti e da lì a piedi su comodo sentiero dall’umana pendenza. si giunge al Briksdal. Un braccio del ghiacciaio più grande d’Europa. C’è acqua, tanta, dal cielo, ma soprattutto dalle rapide del fiume che scrosciante accompagna il percorso. In cima la pace di uno specchio d’acqua e della lingua di ghiaccio che concede a tutti lo sfondo per la foto ricordo.
Si ritorna indietro, fino ad Olden, increduli e ricchi di quanto visto e di quanto la natura possa offrire all’essere umano quando si manifesta in piena libertà. I tender terminano il loro incessante via-vai e si parte, verso altri luoghi, un altro fiordo, l’ultimo di questo viaggio.
Il maltempo si è rivelato solo una breve parentesi, perché Stavanger si mostra come una cartolina dall’alto del deck 14. Il sole abbaglia tutti, riflesso dal bianco del quartiere antico della città.
E’ un porto comodo per il crocierista, di quelli perfetti, al centro della città. Si sbarca senza fretta, con la mente aperta a tutto ciò che questa sorpresa norvegese possa offrire. Il quartiere antico del Gamle è d’obbligo, come è un obbligo scrutarne ogni particolare. Poi la città si apre, tra gli ampi spazi del porto e il Byparken. Si passeggia tra particolari strade fiorite ed allestite di colori, come la Fargegaten.
Musei interessanti tra cui spicca quello dei bambini, quello marittimo e quello dell’estrazione petrolifera, dove all’esterno molti macchinari sono diventati un playground per bambini. Ma anche musei singolari e curiosi come quello della conservazione delle sardine, antico motore economico della città.
Per uscire dai percorsi turistici, basta concedersi un pò di zona collinare, quella residenziale, passando da Pedersergata e scoprire tutta la città dall’alto, perdendo lo sguardo tra innumerevoli tetti.
Si parte, ancora direzione sud, per l’ultima volta e dopo una giornata ancora in compagnia del mare, ritorna lei, la porta del mondo, con i suoi docks, i suoi palazzi, il suo profumo di storia.