Boscoreale, tour nella “Città d’Argento”
Boscoreale, una città che a guardarla sulla mappa fa girare la testa. I suoi confini poco delineati, si fanno breccia nei comuni limitrofi, da Torre Annunziata a Poggiormarino, passando nello stretto varco di via Passanti, tra Pompei e Terzigno, quasi come un fiume che scava nella roccia di un canyon nella provincia sud di Napoli.
Dalle stradine del suo centro storico si scorge sempre lui, il Vesuvio, gigante buono che ha segnato il percorso storico di questa città, un tempo Pagus Augustus Felix Suburbanus, periferia nord dell’antica Pompei distrutta nel 79 d.C, ma anche la sua storia attuale, considerando la terra fertile a ridosso del Parco Nazionale, che da vita a quel famoso nettare chiamato Lacryma Christi.
Una storia riscoperta nell’800, quando il ritrovamento di numerose ville del I secolo, portarono alla luce reperti di prestigiosa fattura, in particolare quelli dell’argenteria, attualmente apprezzati nei migliori musei al mondo, tra cui MET, British e Louvre, giusto per citarne qualcuno.
Pur abitando così vicino alla città di Boscoreale, non conoscevo la sua storia nei dettagli e soprattutto non ne avevo mai visitato i luoghi, che tranne per il suo Antiquarium, aperto nel 1991 e inserito nei percorsi archeologici della Soprindentenza, insieme a Pompei, Ercolano, Stabia e Oplonti, sono in generale poco noti anche in zona vesuviana.
Tutto questo finché, grazie all’edizione 2016 della rassegna Scrigni Vesuviani e alla Pro Loco di Boscoreale, ho avuto la possibilità di partecipare ad un tour guidato che ci ha condotto in diversi luoghi di importanza storica e culturale della città.
Il tour si chiama “Nel cuore della città d’argento“, proprio per richiamare i tesori d’argenteria ritrovati nelle antiche ville del I secolo e prevede diverse visite nel seguente ordine:
- Chiesa di Santa Maria Salome con visita alla cripta sotterranea
- Cappella gentilizia di Santa Maria Montevergine
- Palazzo De Prisco
- Ruota degli Esposti
- Cine-Teatro Minerva con presentazione dei cibi della tradizione alimentare autoctona
La piccola chiesa di S. Maria di Salòme è il luogo intorno al quale si è pian piano ampliato l’antico borgo. La facciata con l’annesso campanile celano ciò che è possibile vedere all’interno. Infatti dopo aver fatto accesso ad un inusuale ingresso costituito da un primo e piccolo vano a navata unica con la statua della Madonna del Rosario e la successiva grande navata a sinistra con in fondo Maria di Salòme, mamma degli Apostoli Giovanni e Giacomo, una gradinata in ferro conduce in un livello inferiore, corrispondente all’antica chiesa coperta da varie eruzioni vesuviane.
L’utilizzo come Terra Santa per la sepoltura, è testimoniato da diverse ossa ritrovate, di cui solo alcune testimoniano la sepoltura del barone Luca Massa (1774), perché il luogo fu ritrovato contrassegnato da una lapide marmorea con epigrafe in latino, che attualmente è possibile vedere appena si entra in chiesa sul lato destro.
Dalla piazza della chiesa si discende via Promiscua fino al largo Piscinale, nome che deriva dall’esistenza antica di un abbeveratoio per gli animali. Lì c’è la Cappella gentilizia di Santa Maria di Montevergine annessa al Palazzo Zurlo. La costruzione risale alla metà del 600 in seguito all’eruzione del 1631, all’epoca apparteneva ai baroni Di Donna, ma in seguito divenne degli Zurlo grazie al matrimonio tra Andriana Di Donna e Giovanni Zurlo.
Sulla facciata è evidente l’utilizzo della pietra lavica, mentre internamente è di particolare importanza la lastra tombale davanti all’altare, in alto al quale vi è la Madonna di Montevergine.
Qualche passo a piedi per raggiungere Palazzo De Prisco, una struttura architettonica simbolo della città. Il suo antico proprietario, l’On. Vincenzo Prisco, lo acquistò a fine 800 e lo fece ristrutturare a suo piacimento. Più che la facciata esterna, fatta di laterizi in pietra lavica nella parte bassa e intonacata in quella alta, ciò che mi ha stupito del palazzo, è la sua parte interna. Sembra di uscire un attimo dal caos cittadino immergendosi in una realtà rilassante e silenziosa, grazie ad un fresco androne e un grande e verde giardino, dove c’è una grossa anfora per il vino risalente al 79dC . Due rampe di scale conducono al piano superiore, dove sembra di immergersi in una villa Pompeiana, in quanto le pareti non fanno altro che richiamare quello stile dall’inconfondibile tonalità rossastra. Una prova diretta dell’amore di De Prisco per l’antica storia ritrovata nel suo territorio. Bellissime alcune realizzazioni dell’artista torrese Nicola Ascione, risalenti ai primi anni del secolo scorso.
Purtroppo in tempi non molto remoti, quelle stanze furono adibite a scuola materna e i fori nelle pareti non sono altro ciò che resta degli appendiabiti. Ora la struttura è libera da questo uso abbastanza improprio e in alcune occasioni (come questa) è possibile visitarla.
Lasciato palazzo De Prisco, si va verso la zona est della città, passando nei pressi del Municipio. La successiva tappa è quella della “Ruota degli Esposti“, dove fino agli anni 20 del 900 venivano lasciati i neonati abbandonati, i cosiddetti “figli da Maronna” in dialetto napoletano. Attualmente la costruzione è utilizzata da un’associazione locale, ma la struttura girevole che a suo tempo fu utillizata per l’abbandono dei bambini è ancora visibile e in ottime condizioni. Fa un certo effetto vedere quel girevole in legno pensando a quanti bambini vi sono stati adagiati.
Ultima tappa di questo tour è il cine-teatro “Minerva”, riportato agli antichi splendori da qualche anno, dopo diversi anni di lavori per la riqualificazione. Un pezzo di storia della città che nei tempi che furono vide tra gli attori personalità del calibro di Totò e De Filippo. Uno spazio che può contenere oltre 200 persone e all’avanguardia relativamente a struttura e attrezzature.
Nella zona all’aperto, a lato della platea, un buffet di antichi prodotti locali ha completato il tour. Grazie al Gruppo Storico Oplontino, è stato allestito un tavolo con la riproduzione dei prodotti tipici nel I secolo ed è stato possibile assaggiare il pane dell’antica Pompei, o meglio Panis Pompeii.